La scorsa Lucca Comics&Games è stata la prima volta che non sono riuscito a godermi la fiera da visitatore, in quanto ero impegnato a fare demo in uno stand e quindi il tempo che ho potuto dedicare alle novità e alle “prove su strada” è stato veramente poco. Quello delle pause pranzo, per essere più precisi.
Proprio durante una di queste – era sabato, il penultimo giorno – girando fra i vari stand, riesco a passare in quello di Raven Distribution, dove – tra un Lupo Solitario e un Vampiri – ho scorto una pila di libri vecchio stile, di quelli stile anni ’50, con copertina rigida senza illustrazioni, ma con le rifiniture dorate, il segnalibri di seta – che in realtà è sintetico, ma ci siamo capiti – rilegato a cucitura. Io che sono un bibliofilo e che penso che i libri si giudichino anche dalla copertina, attirato da quelle due ‘M’ in caratteri gotici stampati sul fronte, mi sono fermato e ho iniziato a sfogliare il tomo. Si trattava di Memento Mori, di Andrea Felicioni e Marco Bucci, un gioco di ruolo di cui – ammetto l’ignoranza – non avevo ancora sentito parlare, e che solo dopo ho ricollegato al manifesto gigante all’ingresso del padiglione Carducci, forse unico segnale dell’esistenza di questo titolo a Lucca.
Incuriosito, ho chiesto informazioni allo standista – che in realtà era uno degli autori – il quale mi ha illustrato molto efficacemente il contenuto di quel manuale e con poche e ben assestate parole, è riuscito a vendermelo. Devo ammettere che non capita spesso, perché di solito preferisco provare i giochi prima di acquistarli, specialmente quando si tratta di giochi di ruolo. Ma un po’ la fretta – la pausa pranzo stava per finire – un po’ il fatto che non avrei mai e poi mai avuto modo di provarlo, un po’ – tanto – l’abilità nella vendita dell’autore, ho deciso che lo avrei comprato. E infatti, la mattina dopo sono tornato allo stand all’apertura della fiera, ho chiesto che mi tenessero da parte una copia e durante l’ultima pausa pranzo lucchese sono tornato a ritirarla, contento ed entusiasta perché c’era anche un’illustrazione con dedica da parte di uno degli illustratori.
Finito questo ridondante cappello introduttivo, è bene che inizi a parlare del perché sono stato piacevolmente ed entusiasticamente attratto da Memento Mori.
Premesse e ambientazione
Memento Mori è un gioco di ruolo di tipo narrativo, in cui i giocatori si troveranno ad interpretare dei malati di peste nell’Europa del 1347. Scoperti a portare i sintomi della malattia che ha piagato e piegato un intero continente in pochi anni, i nostri protagonisti vengono uccisi, per paura che diffondano il contagio, ma qualcosa li riporta in vita – o meglio li fa risvegliare – con poteri che non sapevano di possedere, con una certa “sensibilità” nei confronti del mondo dell’Oltre il velo, ovvero una sorta di realtà parallela alla nostra in cui convivono e da cui scaturiscono tutte le forze occulte che sappiamo appartenere all’immaginario fantastico medievale. Dagli orchi, alle streghe, agli essere più spaventosi e stravaganti che l’iconografia medievale ci ha tramandato, tutto esiste in questo Oltre il velo, e i nostri personaggi sono sensibili e consapevoli della sua esistenza, o meglio lo diverranno presto.
Guidati dal loro sogno, la loro più grande aspirazione, i personaggi – definiti erranti – vivranno le loro avventure a cavallo tra i due mondi, quello degli ignari (così sono definiti i comuni mortali) e quello dell’Oltre il velo, appunto, comunque condannati a morire della malattia che ha iniziato a consumarli lentamente e che – forse – è la stessa causa dei loro oscuri poteri.
Memento Mori: il gioco
Ammetto di essere molto esigente dal punto di vista del regolamento, e specialmente se un gioco mi viene presentato come narrativo, sono pignolo sul fatto che le meccaniche rispondano coerentemente sia al tipo di storia sia all’impianto narrativo che il gioco propone. La lettura del manuale – che è durata veramente poco, in quanto dopo la fiera l’ho letteralmente divorato – mi ha presentato delle meccaniche tutto sommato coerenti e piuttosto interessanti per quel che riguarda la gestione dei conflitti in gioco.
Queste si possono riassumere in poche parole. Ciascun errante è definito da una serie di caratteristiche che si vanno a dettagliare in fase di creazione: a partire dal nome e dal soprannome con cui egli è conosciuto, passando per gli organi (nervi, cerebro, cuore e viscere) fino a legami e virtù, ognuna di queste informazioni ha un peso specifico nel sistema di risoluzione del gioco e a ciascuna di esse è assegnato un pool di dadi – che può andare da 1 a 3 – che inizialmente sono bianchi, ad eccezion fatta per il sangue, che garantisce sempre dadi neri.
Quando viene richiesto un tiro, si tira sempre il numero di dadi neri a cui corrisponde l’attuale livello di corruzione del sangue più uno dei quattro organi che determinano in che modo stiamo affrontando la sfida in corso. A questi si possono aggiungere – coerentemente con la narrazione – 1 dado per il nome, fino a 2 per i legami e fino a 2 per le virtù. I successi sono rappresentati da ogni valore di 5 o 6, sia su dado bianco che su dado nero, ma i dadi neri sono allo stesso tempo potenti e maledetti. Infatti, sebbene un successo con un valore di 6 sul dado nero valga come 3 successi, ogni 1 nero sottrae 1 successo dal totale, rendendo più difficile raggiungere i nostri scopi. Il numero di successi ottenuti va confrontato con una soglia di successo, che può andare da 0 a 5 e che viene proposta dal narratore a seconda del tipo di azione che stiamo tentando di effettuare.
La distinzione fra dadi neri e dadi bianchi è fondamentale, perché se questi ultimi sono la misura di quanto siamo ancora umani, i dadi neri rappresentano il livello di corruzione a cui siamo esposti, o per meglio dire, quanto l’Oltre il velo ci è entrato dentro. Infatti, più andiamo avanti nel gioco, più ci esponiamo alla corruzione, che ci farà “annerire” gli slot delle varie statistiche, corrompendoli, appunto. Questo può avvenire in varie occasioni: quando falliamo un tiro, il gioco ci dà la possibilità di ottenere un successo automatico – sempre che le circostanze narrative lo consentano – corrompendo uno slot di sangue oppure quando veniamo feriti, o subiamo un trauma – magari per l’orribile visione di un mostro dall’Oltre il velo. Ogni volta che tutti e tre gli slot del sangue vengono corrotti – cioè anneriti – siamo costretti ad annerire uno slot su una qualunque delle statistiche elencate poc’anzi, cedendo così sempre di più al “lato oscuro” di noi stessi.
Ogni volta che corrompiamo totalmente una delle nostre statistiche, è come se una parte del nostro personaggio morisse. Così, corrompendo totalmente il nome, dimentichiamo chi eravamo in vita e il nostro soprannome sarà non più il riflesso di una nostra qualità o capacità, ma l’esatto opposto, come una sorta di contrappasso. Allo stesso modo, corrompere un legame affettivo può farci perdere per sempre il ricordo o la relazione con una persona cara, e così via. Nel caso di corruzione di legami e virtù – queste ultime altro non sono se non dei tag che ci dicono cosa sapevamo fare in vita (magari eravamo poeti, o medici, o fabbri, eravamo robusti o simpatici, e così via) – guadagneremo dei poteri oscuri, che ci permetteranno di fare cose fuori dal comune, a un prezzo però altissimo di sofferenza e sgomento.
A complicare ulteriormente le cose, ci sono il nostro sogno e il nostro incubo, entrambi definiti in fase di creazione. Se il primo rappresenta la nostra massima aspirazione, ciò che vorremmo veder realizzato prima di morire – riabbracciare nostra figlia, trovare una cura per la malattia, sederci sul trono di Francia – il secondo è invece ciò che ci perseguita ogni notte e da cui tentiamo costantemente di fuggire. Anche questi due descrittori hanno un peso meccanico: portare in gioco il sogno durante un conflitto, ci consente di tramutare in successi un numero qualunque di d6 bianchi appena lanciati, mentre l’incubo ci farà ritirare tutti i d6 neri falliti. Se invocare il sogno costa 1 corruzione del sangue per ciascun dado rilanciato, l’incubo invece ci costerà “solo” una corruzione in totale. Da grandi poteri derivano sempre grandi responsabilità.
Le dolenti note
Se questo aspetto del gioco, ovvero il suo sistema di risoluzione, mi ha piacevolmente colpito per essere tutto sommato qualcosa di fresco nel panorama ludico dei giochi italiani – segno che le lezioni che derivano dal confronto anche con altre realtà indie sta dando i suoi frutti – c’è stata comunque una domanda che mi ha “perseguitato” per tutta la lettura del manuale: ma in tutto questo, i personaggi cosa devono fare esattamente? Lo scopo del gioco mi è sfuggito a più riprese, devo essere sincero e speravo che una volta letti i capitoli dedicati al narratore e all’avventura introduttiva, i dubbi venissero chiariti. Purtroppo, non è stato così.
Quanto al capitolo sul narratore, l’ho trovato a tratti pieno di ingenuità, a tratti di contraddizioni con quanto veniva espresso altrove nel manuale. Se da un lato il regolamento avverte di non forzare le scelte dei giocatori, dall’altro invita a far rientrare dalla finestra le scelte mancate, sostanzialmente proponendo al master di barare e di far accadere ugualmente ciò che aveva previsto nella stesura della sua avventura. Paradigmatico è in questo senso il seguente passaggio del manuale, che mi ha fatto storcere il naso non poco:
Gli Erranti sono per definizione personaggi solitari ed egoisti. L’unica battaglia che può unirli è quella ingaggiata per il Sogno. Il Narratore deve continuamente alimentare questa speranza, poiché innescherà cooperazione e senso di unione nel gruppo. Dovrà provocarli, stuzzicarli e invogliarli, anche mentendo o promettendo loro qualsiasi tipo di miracolo. Le creature da lui controllate dovranno poter convincere gli Erranti che qualisasi desiderio, nell’Oltre il velo, può avverarsi. Offrite ai vostri giocatori una scorciatoia per raggiungere i loro Sogni e quella diventerà la bandiera che li unirà.
Al di là di queste indicazioni, che trovo francamente un po’ troppo ingenue, il lungo capitolo sul narratore non fornisce vere e proprie procedure di gioco, veri e propri “principi” a cui il narratore deve attenersi per gestire al meglio le sessioni di gioco. Solo tracce, che nei fatti forzano la storia ad adattarsi a quanto il master ha preparato in precedenza, che per quanto sia solo lo scheletro di un’avventura, è comunque un canovaccio instradato di quanto dovrà succedere.
Ancora in preda ai dubbi, ho letto con estrema attenzione e curiosità il capitolo dedicato all’avventura introduttiva. Anche questo è stato una mezza delusione, perché lungi dal fornire veri e propri esempi di gioco, rappresenta sostanzialmente un racconto, in cui le azioni degli Erranti si danno un po’ per scontate e perché vengono proposte ben poche alternative, e perché sembrerebbe che non possano fare altrimenti.
La prova su strada
La prima sessione, giocata a lettura ultimata con il mio gruppo abituale, è stata purtroppo un fallimento ed è durata veramente poco, ma abbastanza da far emergere i limiti del gioco poc’anzi evidenziati. Creati gli Erranti e introdotti i giocatori alla situazione iniziale, vista la totale eterogeneità dei tre protagonisti, non sono riuscito a tenere unito il gruppo se non con artifici che sapevano veramente di posticcio e forzato e che hanno indotto i miei giocatori a chiedermi di smettere perché non si stavano divertendo. Purtroppo neanche io stavo trovando molto stimolante proseguire nella giocata, forse perché abituato a giochi che gestiscono in maniera differente il flusso di gioco tra master e giocatori.
Sembra, nella filosofia, una versione riveduta e smagrita del sistema di fondo di WoD… Il tipo di organizzazione del mondo, il ruolo dei personaggi, il concetto di soprannaturale (e il suo rapporto con la perdita dell’anima) sono simili.